Cristina Crespo – Muse Dannunziane – inaugurazione mostra 1 aprile
Narrami, o Musa, le gesta …..
Palestrina è un’antica cittadina a sud di Roma che dal XVIII secolo divenne una delle tappe del viaggio di formazione verso sud, il cosiddetto „Grand Tour“. Già nell’antichità questa località adagiata tra le montagne era collegata direttamente a Roma tramite la Via Prenestina e in seguito la Via Casilina. Palestrina venne menzionata per la prima volta in documenti pontifici risalenti all’VIII secolo. Nel 1515 diede i natali al compositore di musica sacra Giovanni Pierluigi da Palestrina.
Cristina Crespo è nata a Roma, in un quartiere in cui alla fine degli anni cinquanta nei giardini si potevano ancora ammirare sculture e piante imponenti. Oggi dominano quasi ovunque gli uffici. Negli anni sessanta trascorreva quasi sempre le vacanze dalla nonna a Palestrina. La nonna aveva un grande giardino che era, soprattutto d’estate, il luogo preferito di Cristina. L’aver conosciuto in quell‘idillio floreale tutti quei fiori e arbusti esotici e variopinti ha sviluppato in lei un profondo legame e una sorta di affinità elettiva con la botanica e con gli abitanti del posto. Qui i bombardamenti degli Alleati nella seconda guerra mondiale arrecarono notevoli danni e molte piante deperirono. Tuttavia nei racconti della nonna e della prozia ricorrevano sempre determinate specie vegetali, tra cui anche un viburno bianco. Quest’albero molto particolare si è impresso nella memoria di Cristina che in seguito, da adulta, è riuscita a farne rifiorire uno. In quel giardino inoltre giacciono ancora le anfore ricoperte e nascoste dalle piante che Cristina già da piccola dipingeva con le saghe di Ovidio. I suoi pensieri ruotano costantemente intorno alle storie e alle leggende narrate dalla prozia e anche a quelle sottaciute, come le nozze indesiderate di sua figlia con un produttore di cinema muto.
A diciassette anni Cristina, ancora studentessa, trovò in una piccola bottega del centro un reliquiario, una specie di teca del tipo „Addolorata dei sette dolori“. Non disponendo del denaro per acquistare quel prezioso oggetto, l‘ottenne in cambio di quattro suoi dipinti. Quella teca fu per lei determinante e rappresenta oggi il punto di partenza dei suoi altari-teatro. Quando successivamente si trasferì con la famiglia in una casa sulla Cassia, la „venerazione mariana“ rimase nel suo atelier. Adesso è appesa proprio sopra la Wunderkammer di Cristina, in cui lei conserva oggetti di valore, conchiglie, pietre, piante o farfalle essicate e che, per inciso, nel Romanticismo avrebbe riempito di orgoglio chiunque avesse posseduto un simile „gabinetto delle curiosità“.
Il suo atelier è una miniera d‘oro e una stanza del tesoro à la Ali Baba: in esso sono allineati materiali di scena accumulati nel corso degli anni, tra cui un impressionante deposito di stoffe esclusivamente riciclate. Accanto ai veli trasparenti, che un tempo forse appartenevano alla Tersicore coronata di ghirlande, quando nel giardino della nonna spargeva l’impalpabile rugiada su bougonville, orchidee, pavonie e oleandri, si trovano preziose perle di vetro e filati, scampoli di stoffa e prove di cucito su tessuti tagliati e non più riutilizzabili provenienti dall’atelier di un designer italiano, un altro lascito della prozia. Tutti questi oggetti sono in attesa di fare ingresso nel suo personale Eliseo, nel Giardino delle muse danzanti, e di ottenere un loro ruolo. Alcune marionette stanno già da anni in un angolo in paziente attesa di vedersi assegnare un compito o un ruolo in uno dei suoi teatrini. Talvolta manca l’acconciatura, un cappello o una collana o semplicemente solo lo sfondo, ma Cristina sa che cosa sta cercando soltanto quando l’ha finalmente trovato. Il suo atelier è un grande palcoscenico con tante porte, finestre e sipari, in cui si celano molti piccoli altari-teatro che devono solo essere scoperti e portati alla luce.
Muse Dannunziane
L’esposizione che Cristina Crespo sta preparando è dedicata alle piante e alle muse.
Le muse sono esseri trasognati e giocosi che a volte si innamorano di un Dio o di un mortale. Da queste unioni nascono figli dotati ed eccezionali come il bel Giacinto, ucciso per tragico errore da Apollo, la guida delle muse. George Balanchine creò la coreografia per l’„Apollon Musagète“ di Stravinsky,in cuiApollo danza impaziente con le muse Tersicore, Calliope e Polimniafino al Monte Parnaso. Dal sangue di Giacinto sbocciò un fiore che porta il suo stesso nome, che nel giardino di Cristina aspetta solo di appartenere a qualcuno. Anche il Lucio di Apuleio si trastulla ancora là, forse per trovare le rose che lo redimeranno dopo la sua sventurata trasformazione in un asino.
Cristina sa che senza il bacio della musa non c’è creazione, non c’è arte, non c’è musica, non c’è redenzione.
Tutte le cose che abbiamo dimenticato, chiedono aiuto nei nostri sogni. (Elias Canetti).
Originariamente le muse erano le depositarie della memoria, chiamate a coltivare e diffondere cultura, tradizioni, storie, usanze e ricordi. Mnemosine (la memoria), Melete (la pratica) e Aede (il canto ) formavano il trio di muse cui spettava il compito di trasmettere e divulgare le antiche leggende tramandate solo oralmente. Non era un’impresa facile, poiché le storie sugli dei, i semidei e i loro discendenti presumibilmente venivano trasmesse in toni positivi o negativi e arricchite di interpretazioni proprie a seconda di com’erano disposte le muse nei loro confronti. Soltanto in un secondo tempo il numero delle muse aumentò a nove e le aiutanti dei poeti si specializzarono tra l’altro nella tragedia, nella commedia, nella poesia, nella musica, nella danza e addirittura nell’astrologia, divennero più efficienti e popolari e infine celebrarono il loro ingresso nella pittura e nel teatro.
« Sulle macerie di un’epoca malata si erano incontrati il movimento e lo spirito, senza intercessione » scrisse Gottfried Benn in una novella.
Influenzato dal „movimento estetico“ inglese intorno ad Alma Tadema e Oscar Wilde, anche Gabriele D’Annuzio cercava di condurre la vita improntata al piacere riservata ad alcuni privilegiati. Che fossero muse, modelle, femmes fatales o fanciulle di buona famiglia, tutte volevano uscire dalla prigione di nebbia grigia dell’industrializzazione e mostrarsi imbellettate, misteriose e non affatto politicamente corrette. Attraverso la luce, il colore, i fiori e la danza ci si scrollava di dosso il rancido accademismo e ci si liberava delle costrizioni borghesi che predicavano un falso moralismo, per dirigersi verso una modernità sensuale e aperta. Nell’ebbrezza del Valzer di Vienna e nel decorativo stile liberty intorno al 1900, il movimento sotto forma di ballo diventò un fenomeno alla moda e l’Europa e l’America vennero travolte da una vera e propria ondata di danza che perdurò fino a metà del XX secolo e incluse anche il musical. „Movimento“ era peraltro anche una delle parole chiave dei futuristi, che però pensavano piuttosto alle macchine, alla velocità e all’obsolescenza. Tutte le grandi ballerine e i ballerini come Isadora Duncan, Lois Fuller, Ida Rubinstein, George Balanchine, Vaclav Nijinsky o Mary Wigman, la tedesca pedagogista della danza e pioniera della danza espressionista, si sono scatenati tutti più o meno contemporaneamente sui parquet e sui palcoscenici del mondo culturale occidentale. Girotondi orgiastici come quelli dipinti da Franz von Stuck o la danza della strega di Mary Wigman: confluirono insieme stile liberty, espressionismo o futurismo e si continuò a ballare, interrotti solo dalle due guerre mondiali, fino agli anni cinquanta.
All’Esposizione Universale di Chicago del 1893 una ballerina sconosciuta, Little Egypt, fece furore dinanzi al pubblico internazionale eseguendo una danza orientale, o danza del ventre. Originaria dell’Egitto, tale danza allora era praticamente sconosciuta in occidente, benché alcune menzioni risalgano al 1700. Ovviamente fu uno scandalo e ci si indignò, come conveniva in un’epoca in cui non si poteva nemmeno mostrare un piede scoperto. Ma il pubblico era impazzito per Little Egypt. Questo senz’altro contribuì in modo decisivo a far abbandonare gli spettacoli in tutù per sperimentare qualcosa di nuovo, diverso e provocatorio. Ida Rubinstein e successivamente Josephine Baker fecero poi cadere del tutto i vestiti; tuttavia il pubblico degli anni venti e trenta a Parigi era diverso da quello a cavallo del secolo. Aveva superato lo scandalo di Stravinsky e Marcel Duchamp ed era pronto.
Il termine danza del ventre probabilmente deriva dal francese, Flaubert la descrive, la „danse du ventre“, nei suoi reportage di viaggio. Nel 1906 Franz von Stuck dipinse la sua celebre Salomé e sembra che Cleopatra avesse sedotto Giulio Cesare con una danza del ventre, mentre la Regina di Saba ballò per il Re Solomone dopo avergli fatto ricchi doni. Naturalmente anche Cristina Crespo si è già cimentata in questo ballo orientale ed ha perfino un’insegnante di danza del ventre.
Non vanno poi dimenticati il musical e il tip tap. Di questo ballo con scarpe munite di placchette di metallo si parlò per la prima volta già nel 1830, ma fu soltanto agli inizi del XX secolo che conobbe un vero e proprio boom, tra l’altro grazie al „dream team“ Fred Astaire e Ginger Rogers.
I misteri sono femminili, si mascherano volentieri, ma vogliono essere visti e scoperti, affermò il romantico Schlegel intorno al 1800.
Nello stile liberty le muse tornarono alla ribalta e i pittori, compositori o poeti non potevano più esistere senza di loro. Nella Secessione viennese Gustav Klimt aveva come sua musa Emilie Flöge, mentre Sigmund Freund e Nietzsche erano più che incantati da Lou Andreas Salomé. Alma Mahler Werfel non era soltanto la musa del compositore Mahler, in sua assenza Kokoschka non poteva nemmeno respirare, Werfel non poteva scrivere e lei stessa non era nessuno senza loro tre. A Parigi Toulouse Lautrec non riusciva nemmeno a tracciare un segno sulla carta senza avere accanto a sé la ballerina di can can Jane Avril e Agustina Otero Iglesias, la ballerina e cortigiana spagnola che danzava nei Folie Bergères, fece perdere la testa a Parigi, mentre a Monaco Lola Montez faceva lo stesso con l’Imperatore Ludovico II.
I loro busti di ceramica sono realizzati nelle più diverse tonalità di bianco e, ispirati ai fiori preferiti del periodo liberty, indossano tutti un pomposo ornamento del capo. Alcune figure portano il loro tatuaggio di riconoscimento anche sulla schiena, come ad esempio Jean Cocteau, decorato con una scena tratta dalla „Parade“.
Ad un appuntamento nel Giardino delle muse danzanti sono invitate anche Olga Koklova, la più importante musa di Picasso e prima ballerina al Ballet Russe nonché la musa dei futuristi radicali, la danzatrice americana che si illuminava con il radio Lois Fuller. La compositrice franco-polacca Elzbieta Sikora ha reso omaggio alla Fuller nella sua ultima opera „Madame Curie“, in cui le ha assegnato un ruolo fatale. Si dice che la Fuller si rifornisse di radio dai Curie per apparire più luminosa degli altri nelle sue performance complesse ed innovative. Sotto le rose si nasconde l’altra musa del futurismo, la drammatica Isadora Duncan, che praticamente si strozzò da sola perché guidava troppo velocemente con il tettuccio dell’auto aperto e le si impigliò la sciarpa tra le ruote. E con loro naturalmente Ida Rubinstein, l’icona della danza degli anni trenta, provocatoria ed esotica-erotica, la ballerina preferita di Cristina, che la rappresenta continuamente in ruoli diversi, di cui uno dei più belli è una Maddalena nel deserto nera e mezzo vestita. Vi si incontrano inoltre la nobile romana Claudia Quinta, l’icona cult messicana Frida Kahlo adornata con sterlizie reali, la musa di Manet Lola di Valencia e la danzatrice del ventre Sharon Kihara. Vi vediamo altresìdanzarel‘attrice del cinema muto Brigitte Helm, la musa di Fritz Lang in Metropolis, e naturalmente l’avventuriera Mata Hari nonché Cleo de Mérode, la più bella ballerina in assoluto, come si riferisce. La lista delle muse danzanti è lunga e il suo giardino molto grande, ma prima o poi trovano tutte il loro posto.
Gabriele D’Annunzio (1863-1938) nacque 150 anni or sono. Cristina Crespo dedica a lui – ma soprattutto alle sue muse – questo progetto. Affascinata da quante donne interessanti e intelligenti riuscì ad avere questo militante nazionalista piuttosto piccolo di statura e non particolarmente attraente, ha concepito l’idea di un giardino delle muse danzanti. È di fatto un miracolo che D’Annunzio, amante dello sfarzo piccolo-borghese, kitsch e bombastico, tra le donne, le auto, i cavalli, il lusso, l’arte, la politica, gli acquisti (soprattutto scarpe) trovasse anche il tempo per scrivere. Nel 1883 rapì una giovane duchessa e la sposò contro il volere dei genitori. Dopo aver messo al mondo con lei tre figli e aver conosciuto Eleonora Duse, lasciò la famiglia. La Duse fu sicuramente la donna più importante della sua vita, lo ispirò e per di più gli poté procurare anche il lusso di cui lui aveva bisogno. Più avanti egli se ne andò a Parigi per sfuggire ai debitori e là ballò per lui Ida Rubinstein.
Ci si può perdere molto facilmente in questo giardino della memoria, è un labirinto e non tutti trovano la via d’uscita. In lontanaza si ode il sussurro e il silenzio bisbigliante dell’oracolo che descrive il percorso, ma ancora più importanti sono le esperienze, i desideri e le speranze personali. Se tuttavia non si dedica abbastanza tempo a queste storie, si rimane soltanto uno spettatore esterno e non si riesce nemmeno ad entrare.
Questo delicato progetto è il personale Grand Tour di Cristina Crespo. Per anni lei ha visitato i luoghi frequentati dalle sue protagoniste e si è recata molte volte sul Lago di Garda, dove c’è la dimora di D’Annunzio – forse anche alla ricerca dello spirito delle muse?
Ad aprile 2015 le muse agghindate saranno esposte a Roma alla Casina della Civetta. Questo palazzo degli anni trenta in stile liberty è incantevole proprio come il suo giardino e si potrebbe persino immaginare che le protagoniste della mostra prendano vita e scambino i ruoli con le muse che danzano alle pareti.
GIARDINO DELLE MUSE DANZANTI „Le Dannunziane“ è il titolo del suo libro che uscirà prossimamente in occasione della mostra. Muse, miti e leggende hanno da sempre ispirato e affascinato i musicisti e gli artisti e la storia dell’arte e della musica sarebbe molto povera senza le diverse interpretazioni della mitologia. Questo progetto invece è qualcosa di particolare, nessuno prima si era occupato in tal modo delle muse e delle ballerine, attribuendo loro fiori e piante: un omaggio più grande allo stile liberty non sarebbe possibile.
Mito e teatro
L’attuale progetto delle Muse Dannunziane di Cristina Crespo evoca un’associazione con gli altari-teatro a cui lavora dagli anni novanta. Non sono stati soltanto i suoi viaggi in Sudamerica, in Nordafrica o in Asia a motivare e stimolare queste composizioni teatrali, un contributo decisivo lo hanno dato anche i suoi studi sul Medioevo italiano nonché, come già menzionato, l’acquisto di una teca religiosa all’età di 17 anni. Questi ricordi e queste impressioni di usanze straniere e religioni pagane lei li fonde con la mitologia, le leggende familiari e la Commedia dell’Arte, dando vita così a questi affascinanti arrangiamenti teatrali. Le storie narrate qui trasportano lo spettatore dal dramma alla commedia, al giardino delle Esperidi, ricordano la Genesi e richiamano Ovidio. Alcune figure, come „Uta nuda“, sono semplicemente collocate in una scatola di legno che un tempo forse era servita a confezionare un liquore pregiato. Non molto lontane giacciono anche Danae o i suoi prediletti come la sacerdotessa di Afrodite Ero e il suo amante Leandro. Edipo e la Sfinge sono interpretati molto liberamente. Il primo sta sopra le mura di Tebe con la mano appoggiata sull’ala dorata della sfinge tentatrice di Franz von Stuck. Lei sta precipitando o lui la vuole sorreggere e forse salvare Giocasta dalla morte. La scena è incorniciata da tonalità simboliste che evocano l’Ofelia di Millais.
Dinanzi a queste composizioni teatrali non si può fare a meno di pensare ai pupi siciliani, ma anche alle edicole sacre tanto diffuse nelle strade del sud o al culto del presepe a Genova, città da cui proviene originariamente la sua famiglia. Generalmente nelle edicole è raffigurata una Madonna con bambino e sono piene zeppe di tesori o di altri oggetti tipici di una Wunderkammer, con ricordi e proponimenti del committente o costruttore e stanno là appese, leggermente impolverate e un po‘ tristemente decadenti, raccontando la storia del passato.
Le sue crezioni laboriose e barocche sono un mix di pittura, scultura e poesia che in combinazione con le tradizioni, le religioni e i rituali diventano opere d’arte. Un horror vacui organizzato che induce a inventare tante piccole storie collaterali e a mettere ordine in un caos che in realtà non vuole affatto essere ordinato. Il suo stesso atelier è come un enorme teatro in cui il palcoscenico, la stanza dei materiali di scena, i camerini degli attori e la sala degli spettatori non sono separati e vengono soltanto spostate delle pareti dietro alle quali si scoprono altri piccoli palcoscenici. Queste costruzioni teatrali risalgono agli anni novanta e sono realizzate soprattutto in legno, stucco, stoffa, tulle, metallo e acrilico. Nel video sul „Giardino Notturno della Marchesa Casati » si può comprendere bene il processo di creazione.
Cristina Crespo in passato cantava, soprattutto musica barocca, e a volte si potrebbe ritenere che nelle sue messe in scena pensi alle opere di Händel o ai lavori di von Lully e Purcell e che in queste scatole teatrali collochi proprio loro, oltre che se stessa. Peraltro tratta molto liberamente le storie – come lo facevano anche le muse – e sovente conferisce loro una vita propria, come un autoritratto.
Questi gioielli hanno origine con un complesso lavoro di cesello. I materiali per i suoi feticci li procura lei stessa, cercandoli spesso a lungo. Così ad esempio i „capelli“ più belli provengono dal suk di Marrakesch. Cofanetti di legno, cartone, carta, colore, perle e fili vengono combinati come attraverso una formula magica del Dr. Faustus. Sua nonna le ha lasciato in eredità avanzi di merletti ingialliti, passamanerie e bordure, che lei usa per adornare regine o principesse o le sue muse. Accanto alla Isadora Duncan appena ultimata si trova, mezza nascosta, una piccola teca: „Questa è Dalida“, dice Cristina. Indossa una meravigliosa veste dorata e si rivolge una pistola alla testa. Cristina toglie la marionetta e apre una seconda porta, per così dire un doppio fondo da cui viene alla luce un disco (45 giri) con una canzone di Dalida. Si aprono costantemente porte, da cui emerge il suo passato o quello di un’altra artista. Talvolta anche i destini si mescolano.
Lei idea, disegna, cuce, incolla, combina, dà la forma a fili di ferro e teste di gesso e una volta ultimati gli abitanti passa a costruirne la casa o una grotta, finché arriva finalmente il momento dell’installazione, della messa in scena. Il processo di realizzazione è molto lungo e laborioso, include complessivamente fino a 13 passi da eseguire nell’arco di diverse settimane. Figurine preconfezionate da lei servono come prova. Un lavoro faticoso, dispendioso e paziente. Le marionette portano per lo più i capelli lunghi, scialli fluttuanti e molte collane, come Cristina ama farsi vedere. I busti in ceramica delle muse vengono cotti da lei stessa nel suo atelier di Ostia.
Oggi Cristina Crespo vive con la famiglia nella periferia di Roma, sulla Cassia al km 12: qui nel Medioevo sostarono i crociati per rinfrescarsi dopo il lungo viaggio prima di fare visita al papa a Roma. Questa importante strada consolare ha una grande rilevanza anche perché conduce al Ponte MIlvio e tutti coloro che nel XVII e XVIII secolo intraprendevano il viaggio di formazione dal nord entravano a Roma passando per questo ponte, esso conduce direttamente a Piazza del Popolo, dove Goethe riceveva i suoi ospiti. Egli infatti divideva con Tischbein un appartamento su Via del Corso, a soli 20 m di distanza dalla piazza.
Benché la sua vita sia profondamente radicata nelle storie del passato, dagli anni novanta Cristina si interessa e si impegna molto anche per l’arte contemporanea ed ha collaborato a lungo ad una serie per l’emittente televisiva italiana „Art News“. In quel periodo hanno avuto origine documentari su Edward Hopper, sul futurismo, Francis Bacon etc. Contemporaneamente è stata spesso ospite ed ha lavorato alla Fondazione Orestiade di Trapani, in Sicilia. Per la rivista d’arte „Cahiers d’art“ Cristina ha illustrato alcuni dossier, tra cui un ciclo su Friedrich Dürrenmatt (La morte della Pizia) e uno su Novalis (Inni alla notte). È un’artista senza tempo, che si sente a casa in ogni secolo o in nessuno.
Vorreste fare del tempo una corrente sulle cui rive sedervi a guardarla fluire. Eppure ciò che in voi è senza tempo, sa che la vita è senza tempo. E sa che ieri e domani non sono che il ricordo ed il sogno dell’oggi. (Khalil Gibran, Il Profeta)
Ad aprile 2015 giungerà finalmente l’ora, si aprirà la porta del giardino delle memorie e Apollo e Euterpe accompagneranno con la musica la danza delle muse.
Christa Blenk
tradotto da Fiorella Pavan